Il Cagliari e la Sardegna, le tante occasioni sprecate

Written By Unknown on Rabu, 27 Agustus 2014 | 23.22

CAGLIARI - Una mattina qualunque di mezza estate. Un paio di chilometri per andare a vedere l'oggetto del contendere. Esattamente due anni fa, si cercava di ridurre i tempi per le autorizzazioni a Is Arenas. In poche settimane partendo da un manto erboso da rifare di sana pianta e da una gradinata in cemento destinata a essere utilizzata come sponda per attrezzature varie, nell'impianto sportivo comunale di Quartu Sant'Elena venne alla luce uno stadio vero. D'accordo, ci vollero altri mesi (3) per averlo pronto e capace di ospitare una gara di campionato al massimo della sua capienza (fine novembre, per Cagliari-Napoli) con 16.800 tifosi. Due anni fa.

Oggi, davanti allo stesso impianto cui sono state sottratte due curve e i distinti, dove rimane in piedi appena la tribuna centrale, viene in mente soltanto una parola: desolazione. Guardando verso l'interno del recinto sembra di osservare un luogo passato attraverso qualche battaglia d'armi e un successivo lungo abbandono. Un paesaggio lunare, se non fosse per il prato dove il verde però lo si deve all'erbaccia incolta. Due anni: in così poco tempo uno stadio è stato costruito e smontato. Perché? La domanda se la pongono ancora i tifosi del Cagliari, ma lì comincia e lì finisce la loro curiosità. Non può bastare. Si sono intrecciate su questo sito parecchie vicende, compresa una giudiziaria tuttora in corso anche se della stessa non si è saputo più nulla dopo l'abbandono dell'impianto.

Perché lo stadio di Is Arenas è stato lasciato alla sua solitudine? I fatti dicono che gli ultimi invalicabili ostacoli sono stati due cancelli, comandati dalle autorità di pubblica sicurezza ma impossibili da collocare in una via confinante lo stadio, causa l'interessamento della stessa strada in una delle indagini aperte sull'utilizzo di finanziamenti pubblici nella zona. Il resto era tutto a posto, anche se per arrivarci a quel punto si dovette passare per situazioni sfibranti e a volte incredibili: si racconta persino di una richiesta di spogliatoi per gli ufficiali di gara disabili o per gli arbitri donna. O la forma delle finestre degli stessi locali da adibire a spogliatoio. Una storia tipicamente italiana anche se qui siamo in Sardegna, con amministrazioni e istituzioni che hanno dialogato male, anzi peggio, che hanno posto veti, che hanno visto entrare in scena il Tar. Senza che a nessuno sia mai venuta una illuminazione per bypassare i vari nodi in modo concreto e soddisfacente per tutti, nel rispetto di ogni regola. Come si sarebbe potuto fare.

Restando a osservare lo stadio quartese nel silenzio di una zona prima diffidente, poi capace di apprezzare quell'ospite quasi improvviso e i suoi frequentatori, non si riesce a dare risposta a quel perché. Anzi, di domande ne sorgono altre. Per esempio, quanto di logico può esserci nell'abbandonare una struttura nuova e combattere per quindici mesi (a oggi) e dover aspettarne altri due o tre per riavere lo stesso Sant'Elia malconcio, brutto, di cui provare vergogna, e dal quale si scappò nell'aprile del 2012? Già, questa è la parte meno piacevole da ricordare, ma che va ricordata. La parte dove bisogna parlare di soldi pubblici spesi inutilmente, di pericoli per l'incolumità degli spettatori, di un Sant'Elia abbandonato magari con una certa teatralità, chiedendo ospitalità a Trieste, ma di sicuro strapieno di rughe e di crepe non più sanabili. Basti sottolineare un dettaglio. Lo stesso medico pietoso che corse al capezzale dello stadio prescrivendo una terapia di un certo tipo (le reti fissate alla parte inferiore del vecchio anello superiore, per evitare la caduta di calcinacci) oggi ha capito che pasticche e sciroppi sono inutili e passa alle amputazioni: il settore sarà oggetto di vari affettamenti, otto i primi della serie, proprio per evitare cadute di cemento sulla gente che passa sotto. Vuol dire che il problema esisteva, che tuttora persiste e che i soldi spesi due anni fa si sarebbero potuti risparmiare.

E i tifosi? Beh, loro hanno fatto davvero un prodigio. Loro hanno sopportato i disagi, le trasferte a Trieste o a Parma, però al cospetto di una situazione ridicola della quale occorrerebbe chiedere spiegazioni a chi ostinatamente per quindici anni ha detto sempre no a tutti i progetti di ristrutturazione del Sant'Elia, hanno pensato bene di alimentare uno stucchevole balletto pro Cellino o contro Cellino. Beninteso, non tutti, ma riflettendoci sembra che allora fosse da compiere non una scelta essenziale per fruire dello spettacolo della serie A quanto uno schierarsi a favore o contro il vecchio proprietario del Cagliari.

Dal Sant'Elia al Sant'Elia, passando per Is Arenas: da un rudere allo stesso rudere, passando per un impianto gioiello al quale, e questo suona ulteriormente beffardo, ci si dovrà necessariamente rivolgere se, come ha promesso Tommaso Giulini, entro il centenario del Cagliari previsto nel 2020 i tifosi avranno uno stadio nuovo. Visto il maquillage ad amputazione dell'attuale manufatto, è arduo pensare di giocarci contemporaneamente al rifacimento. Un giro turistico, all'esterno del vecchio impianto, permette di osservare alcune delle numerose piaghe di cui soffre quindi si ritorna alla domanda che martellava davanti a Is Arenas: perché?

Giulini, sia chiaro, sta facendo il massimo di ciò che a lui è possibile fare. La speranza è che più di comprare un famoso straniero, metta in campo le competenze giuste e inizi a lavorare sul serio, da solo o in compartecipazione ad altri soggetti interessati, per cancellare questo schiaffo a tutti i tifosi sardi e dare loro una casa degna e moderna. Nell'auspicio che anche la burocrazia faccia un minimo di autocritica: perché niente e nessuno potrà mai dimostrare che il gigante malato e tenuto in vita con l'ossigeno, è confortevole più di uno stadio al quale alla fine sono mancati soltanto due cancelli.

2 - continua


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