Di Canio, braccio teso ma anche premio 'fair play'

Written By Unknown on Senin, 01 April 2013 | 23.22

La vita controversa del nuovo allenatore del Sunderland. Ed in Inghilterra infuria la polemica

ROMA - Provocazioni e riconoscimenti. Saluti romani e premi Fifa. Estremisti paralleli e divergenti. È davvero singolare il destino di Paolo Di Canio, ex bandiera della Lazio, con un passato pure nella Juve di Maifrediana memoria, giocatore scomodo per scelta personale, fuori e dentro il campo. Capace di mandare al tappeto l'arbitro con uno spintone e di fermare il gioco a pochi passi dal gol, mentre un avversario invoca soccorso per un incidente. Discutibili le sue scelte politiche, la sua perenne apologia del fascismo che aizza le folle, scatenando la giustizia sportiva.

IL QUESTITO - Di Canio 'on' o Di Canio 'off'? Ecco il dilemma che ha oltrepassato la Manica e fatto tappa a Sunderland, dove la chiamata dell'ex fantasista - oggi allenatore - ha causato le dimissioni dell'ex ministro degli Esteri inglese dalla dirigenza del club, David Miliband. Originario del Quarticciolo, rione di Roma ad altissima densità giallorossa, c'è chi lo ama e chi invece lo detesta per i suoi atteggiamenti eccessivi. Di Canio però è stato anche un esempio di fair-play, tanto da guadagnarsi il premio come giocatore più corretto del 2001 della Fifa che, quello stesso anno lo assegnò al giovane ghanese Sumaila Abdallah, per avere salvato la vita - con la respirazione artificiale - a un avversario crollato a terra privo di sensi. Di Canio, invece, si era distinto con la maglia del West Ham per avere fermato un'azione da gol, permettendo così di soccorrere un avversario dell'Everton che era finito a terra. L'ex ala di Lazio e Juve divenne, con quel gesto, il giocatore più ammirato dell'intera Premier.

ANEDDOTI - Ma in Italia, fece parlare di sè per alcuni episodi poco calcistici, in compenso molto 'politically-scorrect'. L'occasione gliela fornirono soprattutto le sfide contro il Livorno dell'acerrimo rivale Cristiano Lucarelli: il bomber con il 'Che' tatuato addosso stimolò la mai nascosta vena fascista dell'ex ragazzo del Quarticciolo. Suo il saluto romano in uno stadio Picchi che intonava 'Bella ciaò. Dalla 'folle vergognà, titolo coniato da un tabloid inglese, per la spinta all'arbitro Paul Alcock che lo aveva espulso, quando giocava nello Sheffield Wednesdey, alla magnificenza del suo fair-play. Come dottor Jekyll e mister Hyde, Di Canio ha sempre fatto discutere e arrabbiare. Come quando lasciò il Celtic Glasgow per approdare nella Premier, dove poi si è trasformato in allenatore senza mai rinnegare le origini. Fu perfino denunciato alla Fa da un suo giocatore, Jonathan Tehoue (ai tempi dello Swindon), che lamentava di avere ricevuto insulti razzisti anche di fronte ai compagni. Per molti dei suoi giocatori Di Canio è "un dittatore": allenamenti punitivi alle 7.30 del mattino, il portiere titolare sostituito dopo appena 21' di gioco o quei calci rifilati a un suo attaccante non gli hanno assicurato le simpatie di tutti. Insomma la testa di Di Canio ha continuato a restare calda anche in panchina. La sua eccessiva impulsività ha oscurato un talento comunque riconosciuto, tanto da negargli la maglia azzurra. Che forse si giocò definitivamente quando, dai microfoni tv, urlò: "A Trapattò, chiamame in Nazionale".


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